ll rapporto di lavoro, come noto, ha natura contrattuale e può estinguersi per diverse cause. In caso di dimissioni, esistono alcune situazioni in cui è possibile non perdere l’indennità di disoccupazione. Uno di questi è quello delle dimissioni per giusta causa, ma ad alcune condizioni.
In questo articolo, infatti, ci concentreremo su questo argomento, analizzando non solo la normativa di riferimento e gli effetti, ma soprattutto le condizioni e la procedura da seguire affichè in caso di dimissioni per giusta causa non si perda la Naspi.
La normativa di riferimento per le dimissioni per giusta causa
La disciplina delle dimissioni per giusta causa si trova principalmente nel Codice civile, agli articoli 2118 e 2119. In particolare, l'articolo 2119 stabilisce che:
"Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto a tempo indeterminato, senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto."
Ma quando si configura, in concreto, la giusta causa di dimissioni o di risoluzione del rapporto lavorativo?
Le dimissioni per giusta causa si configurano quando gravi inadempimenti del datore di lavoro rendono impossibile la prosecuzione del rapporto lavorativo. La legge non fornisce una definizione specifica di "giusta causa", ma la giurisprudenza ha individuato diverse casistiche, tra le quali l’unica a dare certezza – in quanto non contestabile dal datore di lavoro – è il
- Mancato o ritardato pagamento della retribuzione e/o dei versamenti contributivi protratto per un tempo apprezzabile: il datore di lavoro non paga la retribuzione per mesi (oggi la giurisprudenza maggioritaria richiede almeno 3 mesi continuativi di omissioni) o paga la retribuzione in modo sistematicamente irregolare o in ritardo costante.
- Trasferimento del lavoratore ad altra sede oltre i 50 km di percorrenza dalla sua residenza o distante oltre 80 minuti con i mezzi pubblici), ovvero trasferimento senza giustificato motivo: il datore di lavoro trasferisce il lavoratore ad altra sede, senza che sussistano le "comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive" previste dall'art. 2103 Codice civile, oppure, suddetto trasferimento del lavoratore ad altra sede comporta un ingiustificato aggravio delle sue condizioni di lavoro.
Ci sono però ulteriori casi nei quali per il lavoratore è possibile porre fine al rapporto di lavoro con diritto alla Naspi e senza che gli venga decurtato il preavviso (indennità economica corrispondente al preavviso, che peraltro spetterebbe di contro al lavoratore).
Tuttavia, nella pratica, tali ipotesi sono contestabili dal datore di lavoro, il quale – se non opera secondo buona fede e correttezza – tipicamente nega le situazioni alla base della giusta causa, come il mobbing verso il dipendente, comunicando al Centro per l’impiego dimissioni “volontarie” (e non “per giusta causa”) e non versando il ticket Naspi.
La conseguenza è che il lavoratore si dimette, indicando telematicamente “giusta causa”, ma si ritrova purtroppo senza Naspi in quanto l’INPS riferisce che il datore di lavoro l’ha contestata e soltanto un giudice può accertarla.
Come fare in tutti questi casi (di mobbing, straining, demansionamento, molestie sul lavoro, etc.), che sono poi i più frequenti e diffusi rispetto al mancato pagamento di molteplici stipendi ?
Ebbene, nei seguenti casi, è possibile e doveroso contestare legalmente (l’ordinamento richiede che il lavoratore si attivi con tempestività nella contestazione, anche per evitare prescrizioni) al datore di lavoro le eventuali scorrettezze ed inadempimenze di quest’ultimo: in difetto, infatti, non sarà nemmeno possibile per il lavoratore agire per ottenere eventuali risarcimenti; inoltre, l’INPS ai fini della domanda di Naspi chiede ormai di acquisire anche la copia dell’intervento dell’Avvocato con la quale si è contestata la sussistenza di giusta causa di dimissioni. Solo con un intervento legale preventivo sarà dunque possibile contestare ed avvalorare la giusta causa o, meglio ancora, mettere il datore di lavoro, che sia stato inadempiente e scorretto, nella condizione di negoziare una risoluzione del rapporto che contempli un risarcimento dei danni (o incentivo o buonuscita) evitando il possibile contenzioso in Tribunale.
Sulle ipotesi di mobbing che possono fondare una giusta causa di risoluzione del rapporto lavorativo favorevole al dipendente, rimandiamo agli altri articoli specifici sul mobbing, ricordando qui che trattasi di condotte vessatorie che il datore ha posto in essere sistematicamente contro il dipendente, spaziando da:
- Comportamenti ingiuriosi, aggressioni verbali, molestie fisiche o sessuali, minacce velate di licenziamento, tendenze all’isolamento ed estromissione del dipendente da riunioni o progetti, demansionamento, etc., che ledano nel tempo la sua salute psico-fisica. ..
Effetti della risoluzione del rapporto di lavoro per “giusta causa” quando essa non è contestabile dal datore di lavoro
Le dimissioni per giusta causa, a patto che si intervenga al fine di prevenire e neutralizzare la contestazione del datore di lavoro, hanno diversi effetti:
- Interruzione immediata del rapporto di lavoro: il lavoratore non è tenuto a dare il preavviso.
- Diritto all’indennità di disoccupazione: il lavoratore ha diritto alla NASpI, (ovviamente con i requisiti lavorativi - contributivi previsti).
- Diritto all'indennità sostitutiva del preavviso: il lavoratore ha diritto a ricevere dal datore di lavoro un'indennità pari alla retribuzione che avrebbe percepito durante il periodo di preavviso.
- Diritto al risarcimento del danno patito a causa del comportamento illegittimo, mobbizzante e lesivo del datore di lavoro.
La procedura
Dal 2016, le dimissioni per giusta causa devono essere presentate telematicamente, tramite il sito web appositamente predisposto dal Ministero del Lavoro, ma come abbiamo visto qualora il lavoratore voglia dimettersi per “giusta causa” dovrà contestarla legalmente e preventivamente al datore di lavoro (anche al di fuori del canale telematico) , rivolgendosi naturalmente ad un avvocato giuslavorista che possa tutelarlo con le specifiche competenze.
Conclusione
Le dimissioni per “giusta causa”, o meglio la risoluzione del rapporto fondata su di una giusta causa (a favore) del dipendente, possono essere un importante strumento per tutelare i diritti dei lavoratori in caso di gravi inadempimenti o di comportamenti mobbizzanti del datore di lavoro. È importante ricordare, però, che la giusta causa va formalmente contestata per vie legali, preventivamente, e con le dovute competenze giuslavoristiche.