La revoca del licenziamento da parte del datore di lavoro.

Cosa dice la legge sulla possibilità di revocare un licenziamento ? Ed entro quale termine (dopo la cancellazione della c.d. revoca-Covid-19) ?

Il datore di lavoro ha la facoltà, riconosciutagli dalla legge, di ritornare sui propri passa, laddove si avveda di aver compiuto in maniera illegittima o erronea un licenziamento, o se per qualsiasi altro motivo intenda ripristinare il rapporto lavorativo interrotto (magari anche al fine di evitare un contenzioso giudiziale con il dipendente).

E' bene però sapere che l'atto di revoca da parte del datore di lavoro deve intendersi quale mera offerta di ricostituzione del rapporto, e che in mancanza dell’accettazione del lavoratore essa non è idonea a rimuovere l’effetto estintivo del rapporto medesimo.

Difatti, a seguito del licenziamento il rapporto di lavoro si risolve, e poiché (come per la costituzione) anche per il ripristino del rapporto è necessario il consenso del lavoratore, la revoca dell’atto non può avere, di per sé, detto effetto ricostitutivo o reintegratorio del lavoratore.

Quali effetti derivano dalla revoca di un licenziamento?

Da ciò deriva l'importante conseguenza, secondo cui anche se il datore di lavoro (avvedendosi ad esempio dell'erroneità o illegittimità del suo recesso) effettui un atto di revoca del licenziamento, ciò non determinerà l’estinzione della facoltà del lavoratore di scegliere tra la sua reintegrazione o il pagamento in suo favore dell'indennità sostitutiva della reintegra, prevista in caso di accertamento della illegittimità del licenziamento, a meno che non sia seguito un effettivo ripristino del rapporto per effetto dell'accettazione.

In altri termini, la revoca comporta l’inapplicabilità e potrà quindi evitare le conseguenze di legge a carico dell'imprenditore ed a risarcimento del lavoratore, laddove vi sia una piena restitutio in integrum dei diritti derivanti dal rapporto di lavoro, tale da eliminare tutti gli effetti pregiudizievoli del recesso precedentemente intimato.

Quale forma dovrà avere la revoca?

La revoca del licenziamento del lavoratore subordinato non richiede la forma scritta, in ragione del principio secondo cui la forma degli atti è libera se la legge (o la volontà delle parti) non richiede espressamente una forma determinata.

Del pari, per lo stesso motivo, è libera la forma dell’accettazione, da parte del lavoratore, della revoca del licenziamento, che porterà ovviamente con sè la rinunzia del dipendente a far valere tutti i diritti scaturenti dall'eventuale accertamento di illegittimità del recesso datoriale.

Tuttavia, l'accertamento del fatto che l'accettazione, di una revoca di licenziamento, sia effettivamente intervenuta da parte del dipendente interessato, richiede una ricostruzione della volontà abdicativa in termini certi, nel senso che dalla condotta del lavoratore rinunziante, ai diritti che la legge gli riconosce per l'illegittimità del provvedimento espulsivo, sia tale da evincere in modo univoco la volontà di dismettere un diritto che aveva già fatto ingresso nel suo patrimonio.

La "Revoca-Covid19" nel periodo di emergenza; e la successiva cancellazione con la conversione in legge del DPCM agosto 2020.

Con il Decreto Cura Italia era stata introdotta la possibilità per il datore di lavoro di revocare in ogni tempo i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ampliandone peraltro gli effetti retroattivi già introdotti con la relativa norma del Decreto Cura Italia: ossia estendendo la facoltà di revoca per tutti i recessi datoriali compiuti nell'arco dell'intero anno 2020.

Ebbene, tale estensione temporale della facoltà di revoca scompare con la conversione in Legge del DPCM di agosto 2020, e ciò a ragion veduta atteso che la regola aveva posto non poche problematiche.

Oggi quale è il termine di legge vigente, entro cui esercitare la facoltà di revoca?

Torna così ad essere vigente la norma, secondo cui il licenziamento è revocabile soltanto laddove intervenga entro i 15 giorni successivi alla comunicazione, pervenuta al datore di lavoro, di impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore.

In conclusione...

Il datore di lavoro ha sempre facoltà di valutare anche ex post l'opportunità di ripristinare un rapporto di lavoro con il dipendente inizialemente licenziato, purchè lo faccia nel termine di legge, e con i limiti di efficacia che ho riassunto in questo articolo.

Ovviamente, ogni realtà aziendale è unica, così come uniche sono le circostanze e caratteristiche del rapporto di lavoro con ciascun dipendente. E' pertanto fondamentale, per l'imprenditore, consultarsi tempestivamente con il proprio avvocato specializzato in Diritto del lavoro, in modo da definire e approntare la strategia più efficace per tutelare gli interessi aziendali, e per minimizzare i rischi di un contenzione o di un risarcimento.

IN MATERIA DI LICENZIAMENTI LEGGI ANCHE:

Smart Working: sicurezza, controllo, adempimenti, ed opportunità, per le imprese.

Premessa normativa: differenze tra la vecchia e la nuova (emergenziale) disciplina del lavoro agile o smart working ?

E’ ormai risaputo che nel periodo dell’emergenza Covid 19, che allo stato dovrebbe terminare il 15 ottobre 2020, il Governo, con i suoi numerosi decreti, ha messo mano in maniera molto incisiva alla previgente disciplina del lavoro agile o smart working per facilitarne l’accesso.

Ma quali sono i principali elementi della disciplina introdotta dai DPCM del Governo, ed in vigore per tutto il periodo di emergenza, che la distinguono dalla normativa “ordinaria” preesistente, che - salvo modifiche - tornerà ad essere la sola in vigore nel post emergenza Covid?

Disciplina ed obblighi del datore di lavoro in materia di sicurezza e salute dei lavoratori agili (al di fuori dei locali aziendali).

Sotto il fondamentale profilo degli obblighi a tutela della salute e sicurezza del lavoratore agile, la Legge 81/2017 sul lavoro agile non è stata modificata dalle novità introdotte dal legislatore nel periodo emergenziale (Covid 19). In base all'art.22 della norma, infatti, il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità smart working, e a tal fine consegna al lavoratore ed al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali ed i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro agile.

Il datore di lavoro, pur potendo assolvere ai suoi oneri telematicamente, rimane quindi obbligato ad effettuare una specifica e preventiva “mappatura” dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori agili sul posto di lavoro, che deve essere aggiornata con periodicità almeno annuale.

Abbiamo già detto che, secondo la L. 81/2017 (art.23), il lavoratore agile è tutelato, al pari di tutti gli altri dipendenti, contro eventi lesivi della sua integrità ed infortuni occorsi durante lo svolgimento della prestazione, sia nel luogo concordato per l’esecuzione della sua attività lavorativa, sia per gli eventi che si verificano in itinere.

E’ infatti chiaro che la differente modalità di svolgimento del lavoro non fa venir meno rischi intrinsecamente connessi alle lavorazioni pericolose, né quelli soggettivi che dipendono dalle caratteristiche del lavoratore assicurato, come previsti dalla legge ai fini dell'obbligo assicurativo datoriale. In particolare, i lavoratori agili devono essere assicurati per lo svolgimento della loro attività se sono esposti alle fonti di rischio previste dall'art. 1 del DPR 30 giugno 1965, n. 1124, fra le quali rientra anche il rischio elettrico connesso con l'uso di macchine di ufficio, quali per esempio, mezzi telematici, computer, videoterminali, etc.

La peculiarità della tutela, per il lavoratore agile, è però rappresentata dal fatto che egli è garantito non solamente avverso i rischi intrinsechi e correlati all’attività lavorativa svolta, ma anche per i rischi derivanti dalle attività prodromiche e accessorie, purchè siano strumentali allo svolgimento delle sue mansioni.

Ma per definire in maniera compiuta e precisa quali siano tali attività prodromiche e strumentali, ritorna in gioco la necessità - per ora eliminata dalla normativa emergenziale - dell’accordo individuale stipulato fra il datore di lavoro e il lavoratore previsto dalla L. 81/2017 (artt.18 e 19), il cui contenuto essenziale deve essere per l’appunto la definizione precisa delle modalità esecutive delle mansioni svolte all’esterno dei locali aziendali.

I controlli a distanza del datore di lavoro agile.

Gli strumenti di lavoro in dotazione ai lavoratori in regime di smart working possono fornire molteplici informazioni al datore di lavoro, che si rivelano idonee anche ai fini del controllo a distanza del lavoratore agile.

Sul punto, l’accordo individuale tra le parti, che tornerà in vigore alla fine del periodo d'emergenza (15 ottobre) consente di regolamentare il diritto del datore di lavoro all’esercizio del suo potere direttivo e di controllo, ed in particolare anche i c.d. controlli a distanza, che sono oggi legittimi purchè il datore di lavoro ne dia apposita informativa al dipendente, con particolare riferimento alle modalità d'uso degli strumenti e sulle modalità di effettuazione dei controlli, e che le informazioni siano acquisite e trattate conformemente alla normativa sulla Privacy.

Inoltre, il datore di lavoro deve fornire al lavoratore un'adeguata informativa circa il corretto utilizzo delle attrezzature/apparecchiature eventualmente messe a disposizione nello svolgimento della prestazione in modalità di lavoro agile, assicurandosi che detti strumenti siano conformi ai dettami del T.U. in materia di sicurezza e salute sul lavoro, nonché alle specifiche norme di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, dovendo altresì garantire la permanenza dei requisiti di sicurezza con un'adeguata manutenzione.

Sul punto, è importate precisare che la legge 81/ prevede, in linea con il principio generale di cooperazione secondo buona fede e correttezza, che “Il lavoratore è tenuto a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali aziendali.”

Il datore di lavoro deve assicurare appositamente il lavoratore in smart working?

Il lavoro agile costituisce una particolare modalità di esecuzione della prestazione lavorativa nel contratto di lavoro subordinato, e pertanto il dipendente che lavora da casa o in altro luogo diverso dai locali aziendali gode già della tutela assicurativa infortunistica obbligatoria di cui al D.P.R. 1124/1965; il datore quindi non dovrà presentare alcuna nuova o autonoma denuncia INAIL relativa ad un nuovo obbligo assicurativo.

Difatti, di norma il lavoratore agile allorquando inizia a svolgere le mansioni in modalità smart working è già in forza all’azienda e quindi è già, e rimane, tutelato al pari di tutti gli altri dipendenti in virtù della polizza assicurativa intestata al suo datore di lavoro.

L’avvio dello smart working comporta variazioni della polizza assicurativa o oneri di comunicazione all’INAIL?

La determinazione del premio di assicurazione dovuto dal datore di lavoro discende dall’applicazione di un’aliquota sui valori imponibili annui dei dipendenti, in relazione a tariffe correlate alla classificazione dell’attività svolta dall’azienda (la classificazione tariffaria della prestazione lavorativa in modalità agile segue quella cui viene ricondotta la medesima lavorazione svolta in azienda).

Posto che il lavoro agile comporta solo una modifica delle modalità di esecuzione, in luogo al di fuori dei locali aziendali, delle prestazioni e (di regola) nessuna modifica della natura dell’attività lavorativa, il datore non dovrà comunicare nulla di nuovo all’INAIL, e la polizza non subirà alcuna modifica o interruzione, rimanendo fissato come unico onere datoriale quello di informare l’ente in merito a variazioni dell’attività, che incidano sulla sua classificazione, nei tempi e modi previsti dalla normativa di riferimento (D.P.R. 1124/1964).

In altri termini, quindi, i datori di lavoro (privati o pubblici non statali) non hanno alcun obbligo di denuncia ai fini assicurativi se il personale dipendente, già assicurato per le specifiche attività lavorative in ambito aziendale, sia adibito alle medesime mansioni in modalità agile che non determinano una variazione del rischio. Soltanto qualora il datore di lavoro non abbia in essere un rapporto assicurativo con l'Istituto, deve ovviamente produrre apposita denuncia di esercizio per assicurare i lavoratori dipendenti ivi compresi quelli svolgenti le attività in modalità agile.

Lo smart working comporta modifiche a livello di dichiarazioni sul trattamento retributivo?

Come per tutti gli altri lavoratori dipendenti, anche per il lavoratore agile, o in regime di smart working, il premio dovuto all’INAIL è parametrato e calcolato sulla retribuzione imponibile effettiva, costituita dall’ammontare del reddito di lavoro dipendente di cui al combinato disposto dell’articolo 51, Tuir, e dall’articolo 29, D.P.R. 1124/1965.

Quali conclusioni?

In questo articolo ho voluto fornire gli elementi portanti della disciplina e le prospettive future in tema di smart working o lavoro agile. Va però considerato che ogni situazione lavorativa deve essere valutata e approfondita caso per caso: l'imprenditore-datore di lavoro potrà approntare la regolamentazione che garantisca al meglio gli interessi dell’impresa, esentanto da possibili responsabilità, nonchè sfruttare a suo vantaggio il lavoro agile per abbattere i costi di gestione dell'impresa (per sicurezza, spazi ufficio, etc.) in maniera estremamente utile alla ripresa dell’attività. Per tali ragioni sarà sempre opportuna e fondamentale la consulenza dell’avvocato specializzato in diritto del lavoro.

LEGGI ANCHE :

Divieto di licenziamento Covid (DL agosto 2020): proroghe, eccezioni ed opportunità

Con la proroga del divieto di licenziamento (Decreto 14 agosto 2020) come e quando sarà possibile effettuare riduzioni del personale?

Il divieto di licenziamenti individuali e collettivi sancito in ragione dell'emergenza Covid-19 dall’art. 46 del Decreto "Cura Italia", già prorogato sino al 17 agosto da "Decreto Rilancio" (n.34 del 19.05.20), è stato ulteriormente prorogato in maniera però differenziata e variabile in base a determinati fattori, arrivando in alcuni casi sino al 31 dicembre 2020.

Oltre ai dubbi di incostituzionalità che la norma sta sollevando, sono molti gli interrogativi per gli imprenditori e le azienda che, nel tentativo di riprendersi da una crisi così straordinaria, hanno forte bisogno di ottimizzare il proprio assetto organizzativo anche mediante mirate una riduzioni del personale, che in questo scenario di divieto restano assolutamente possibili e legittime a patto di sapere bene come "muoversi" dal punto di vista tecnico-giuridico.

Normativa generale sui licenziamenti: cenni di inquadramento

Come noto la normativa sui licenziamenti è ampia e complessa, ed in questa sede viene toccata solo per fornire un contesto di riferimento, utile al lettore che intenda approfondire il tema in questione.

Parlando per macro classi, i licenziamenti possono essere legittimamente attuati dall’imprenditore

a) in forma individuale: per giustificato motivo oggettivo (ragioni sostanzialmente organizzative), per giustificato motivo soggettivo (ragioni disciplinari gravi), nonchè per giusta causa (ragioni disciplinari “gravissime” anche non tipizzate, purchè tali da recidere irrimediabilmente il rapporto fiduciario datore-dipendente); oltre ad ulteriori causali come mancato superamento della prova, il superamento del periodo di comporto (malattia), etc.

b) in forma collettiva: seguendo i presupposti ed i criteri di cui alla disciplina speciale della Legge 223/1991, e nell’ambito di una procedura articolata che deve necessariamente coinvolgere le rappresentanze sindacali.

Il divieto ai licenziamenti imposto dal Decreto "Cura Italia" e prorogato con il Decreto "Rilancio".

In virtù dell'art. 46 del D.L. cd. “Cura Italia” n.18 del 17 marzo 2020, prorogato poi con il Decreto Rilancio sino al 17 agosto 2020, viene stabilito dal legislatore il ben noto e generalizzato divieto di licenziamento, nei seguenti termini: "A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604"

Dal tenore letterale della norma, appare dunque chiaro che ad essere vietate sono sia le procedure di licenziamento collettivo, sia i licenziamenti individuali per motivi oggettivi, ovvero (nel linguaggio comune) di natura economica-organizzativa.

Sul punto, è quindi opportuno chiarire e ricordare che i licenziamenti collettivi, disciplinati dalla Legge 223/1991 cui fa riferimento il divieto di licenziamento, sono procedure di riduzione del personale

Di converso, il licenziamento individuale interessato dal divieto - a prescindere dal numero dei dipendenti occupati - è (sotto il profilo della causale) soltanto quello per motivo oggettivo, ossia dettato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa; con la precisazione che costituiscono giustificato motivo oggettivo di licenziamento anche la cessazione dell’attività d’impresa, anche solo il venir meno del posto di lavoro identificato dalle mansioni preassegnate (salvo l’obbligo di repechage).

Il regime dei divieti di licenziamento prorogato con Decreto 14 agosto 2020: condizioni e termini variabili

Come detto, il divieto generalizzato di licenziamento avrebbe dovuto terminare il 17 agosto, tuttavia il DL n.104 (14 agosto 2020) ne ha prorogato la durata è stata, ma senza l’individuazione di un termine univoco per tutte le fattispecie, ma piuttosto correlando il divieto a termine che variano in corrispondenza del verificarsi di determinate situazioni:

In sostanza il blocco dei licenziamenti, per le aziende che ricorrono agli ammortizzatori sociali o all'esonero anzidetto, cessa una volta che detti strumenti sono esauriti (laddove il loro esaurimento dipende però da una serie di condizioni proprie e relative alle vicende di ciascuna impresa). in altri termini, quindi, lo sblocco del divieto viene condizionato e subordianato alla preventiva consumazione degli ammortizzatori o dell'esonero contributivo

Diversamente, qualora invece un'impresa non ritenga invece di voler o poter accedere agli ammortizzatori sociali previsti, per detta impresa il divieto di licenziamenti resterà in vigore e vincolante sino al 31 dicembre 2020.

Licenziamento individuale

Con riguardo ai licenziamenti individuali, il Decreto in esame preclude ai datori di lavoro di recedere dal rapporto per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell'articolo 3, L.604/66; ed inoltre sospende le attivate procedure di tentativo obbligatorio di conciliazione davanti alla ITL ex art.7 L.604/66 prodromiche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in corso al 17 marzo 2020.

Le aziende, sotto tale profilo, dovranno gestire in maniera appropriata il proprio personale, ed in particolare i dipendenti soggetti alla citata sospensione della procedura di conciliazione, in quanto una non perfetta gestione potrebbe complicare di molto l'esecuzione e la legittimità dei loro futuri licenziamenti. Infatti, per fare un esempio, nell'ipotesi in cui l'impresa, che non abbia "optato" per la sospensione in Cassa del dipendente, lo mantenga in servizio adibendolo a mansioni differenti da quelle precedenti - che erano venute meno, ragion per cui si era avviato la procedura ex art.7 L.604/66 -  tale adibizione potrebbe incidere negativamente sull'obbligo di ricollocazione interna del dipendente ante licenziamento (ossia sul c.d. obbligo di repechage) e quindi sulla futura licenziabilità stessa del lavoratore.  

Licenziamenti collettivi

Con riguardo alle procedure collettive, resta come detto precluso l'avvio delle procedure di riduzione del personale sinoalla completa fruizione dei trattamenti di integrazione salariale di cui all’art.1 del Decreto (ossia termine delle 18 settimane di CIG-Covid19); e per il medesimo periodo rimangono altresì sospese le procedure pendenti alla data del 23 febbraio 2020, eccenzion fatta per l'ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, venga riassunto a seguito del subingresso di nuovo appaltatore in forza di legge, o di CCNL, ovvero per effetto di apposita clausola del contratto di appalto.  

Alcune specifiche deroghe

Rimangono esclusi dall'ambito di applicazione del divieto i seguenti casi di recesso datoriale, con possibilità quindi per l'azienda di licenziare immediatamente:

La revoca del licenziamento

Da ultimo, va segnalato che il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, qualora nell’anno
2020, abbia licenziato per giustificato motivo oggettivo, può revocare il licenziamento stesso in ogni tempo (in deroga all'articolo 18, comma 10, St. lav.) purché faccia contestuale richiesta di trattamento di cassa integrazione salariale con decorrenza dalla data di efficacia del recesso datoriale in questione: il rapporto di lavoro, in questo caso, sarà ripristinato senza soluzione di continuità, ed in assenza di oneri e sanzioni per il datore di lavoro.

Licenziamenti che restano comunque attuabili anche in costanza dei divieti, seguendo determinati dettami.

  1. Ebbene, come si ricava a contrariis dal tenore letterale del divieto di cui all’art.46 del citato decreto, resta sempre possibile per il datore di lavoro effettuare, anche prima del 17 agosto 2020, un licenziamento per “giusta causa”, nonchè per  giustificato motivo soggettivo (licenziamento disciplinare ex art.7 St.Lav.): vale a dire, rispettivamente, per un “gravissimo” o per un “notevole” inadempimento contrattuale del lavoratore o per una sua condotta comunque tale da recidere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra datore e prestatore.
  2. Sebbene di natura non disciplinare, possono dirsi legittimi i licenziamenti per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, e quelli intimati per superamento del periodo di comporto in quanto categorie comunque distinte dal giustificato motivo oggettivo di cui all’art.3 L.604/66.
  3. Non rientrano nel divieto nemmeno i licenziamenti nell’ambito del rapporto di apprendistato, purchè sia stata espletata la formazione. Analogo discorso per la possibilità di risoluzione del rapporto per mancato superamento del periodo di prova.
  4. Un’altra categoria esclusa dal divieto sono i collaboratori domestici, in quanto assoggettati al regime del licenziamento ad nutum, ossia di libero recesso.
  5. Nessuna preclusione o restrizione vige in ordine ai rapporti di collaborazione coordinata, in quanto l’ambito applicativo della norma introdotta dal Decreto Legge riguarda esclusivamente i rapporti di lavoro di natura subordinata.
  6. Restano poi legittima per l’imprenditore la c.d. risoluzione consensuale del rapporto, attuabili - per ragioni di ottimale tutela Aziendale e per i possibili molteplici vantaggi ottenibili in fase negoziale - tramite una conciliazione in sede protetta con l’assistenza del giuslavorista specializzato.
  7. Altresì legittimo rimane il licenziamento individuale del dirigente (apicale, non “pseudo dirigente”); con la precisazione che, sotto il profilo dei licenziamenti collettivi, deve invece ritenersi vigente il divieto, in virtù del fatto che la L.223 del 1991 – richiamata nell'art.46 del decreto - si applica anche ai dirigenti. Sul piano del licenziamenti individuali, invece, è opportuno fare un distinguo: la giurisprudenza della Cassazione, infatti, ha più volte distinto due differenti tipologie di dirigente: per il dirigente apicale, che opera come alter ego del datore di lavoro, rimane senza ombra di dubbio la possibilità di licenziamento per c.d. “giustificatezza”, mentre per il dirigente non apicale, c.d. “pseudo-dirigente”, per ragioni di maggior cautela, è consigliabile ritenere operante il divieto in quanto, secondo consolidata giurisprudenza, allo stesso si applica il regime normativo della legge n. 604/1966 (Cass. n. 7295/2018, Cass. n. 20763/2012).
  8. Da ultimo, va segnalata la possibilità per il datore di lavoro di recedere dal rapporto con il dipendente che abbia raggiunto il limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia. Ciò in quanto la prosecuzione fino ai 70 anni discende da un accordo tra le parti e non è un diritto potestativo del dipendente, secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 17589 4 settembre 2015)

Le conseguenza delle violazioni del divieto.

Distinto ed ulteriore interrogativo delle Imprese è quello relativo a quali sarebbero le conseguenze cui si esporrebbe con una violazione del divieto di licenziamento individuale o collettivo; il che dipende in primis dal fatto che il licenziamento sia considerato dal Giudice del Lavoro come meramente illegittimo o invece nullo, con le diverse conseguenze giuridiche ed economiche per l’Azienda, e con una rilevanza o non rilevanza del fatto che il dipendente sia stato assunto prima oppure dopo il 7 marzo 2015 (c.d. tutele crescenti); si aggiungano poi le possibili e diverse conseguenze derivanti da eventuali questioni con l’INPS in tema di godimento Naspi, che si riflettono sull’Azienda sul piano di una maggior o minore facilità di conciliazione della vertenza.

Con riguardo al primo aspetto interpretativo, per ragioni di cautele e di maggior coerenza con l’ordinamento del Diritto del Lavoro, trattandosi di un licenziamento intimato in violazione di norma imperativa di legge, non può che discenderne la nullità dello stesso, e non una semplice inefficacia; e ciò con conseguenze ben più pesanti sul piano giuridico ed economico per l’Azienda che violasse la legge.

Con riguardo al secondo aspetto invece, l’INPS, con messaggio 2261 del 1° giugno 2020, ha chiarito che saranno accolte tutte le domande di NASPI inoltrate da lavoratori licenziati per le causali di cui all’art. 46 DL Cura Italia, e successive modifiche, durante il periodo di divieto, ma con riserva di ripetere le somme erogate qualora vi sia poi la reintegrazione nel posto di lavoro, a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale.

Come riorganizzazione, quindi, in maniera legale ed efficiente il proprio personale ?

Come abbiamo visto, nonostante i divieti e le regole imposte per il particolare momento storico, rimane lecito e giusto considerare le esigenze delle aziende che, proprio in virtù dei mutamenti economici, potrebbero avere la volontà e la necessità di "chiudere" determinati rapporti di lavoro.

In questo scenario, ho inteso dare risposte e nozioni essenziali sul teme dei licenziamenti in costanza di divieto (per Covid19), ma è chiaro che ogni situazione lavorativa ha le proprie peculiarità, ed ogni azienda ha esigenze ed una situazione del tutto uniche: da qui l'importanza di un consulenza altamente qualificata di un avvocato specializzato in Diritto del lavoro. Infatti, solo un'analisi approfondita e personalizzata consentirà di pianificare la strategia migliore per licenziare legalmente e organizzare al meglio la propria forza lavoro, scongiurando al contempo costosi contenziosi con i lavoratori.

Smart Working: diritti, accesso semplificato e scenari futuri.

Durante il periodo dell'emergenza Covid 19 centinaia di imprese e migliaia di lavoratori hanno familiarizzato con il lavoro domiciliare, c.d. smart working o lavoro agile.

Trattasi di pratiche che già esistevano, seppur disciplinate diversamente, il cui accesso è stato enormemente semplificato dal legislatore nel corso del 2020 a seguito della pandemia, proprio per garantire l'interesse primario al distanziamento sociale ed alla sicurezza sui luoghi di lavoro (rischio contagio).

In questo scenario del tutto particolare, il legislatore con il cd. Decreto Rilancio ha riscritto in parte la disciplina dello smart working, stabilendo anche un vero e proprio diritto ad ottenere (a certe condizioni), dal proprio datore di lavoro, tale modalità di prestazione lavorativa domiciliare.

Grazie a questo enorme "impulso" dato dalla Legge emergenziale, molte imprese e molti lavoratori hanno così verificato in prima persona i molteplici vantaggi e le numerose opportunità connesse allo smart working , manifestando interesse alla sua prosecuzione anche per la fase post emergenza, con quella che potrà essere una grande rivoluzione del mondo del lavoro con reciproco vantaggio economico, e non solo, sia per i dipendenti, che per le aziende.

Prima dell'emergenza Covid 19: lo scenario legislativo sullo smart working (Legge 81/2017).

Le tipologie di lavoro che rientrano nell'ambito del lavoro agile, prima dell’emergenza (quindi al di fuori dei Decreti anti Covid), erano disciplinate dalla L.81/2017. Secondo la definizione normativa, il lavoro agile o smart working è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall'assenza di vincoli orari o spaziali e un'organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.

Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento - economico e normativo - rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie, inclusa la loro tutela in caso di infortuni e malattie professionali.

L'elemento essenziale previsto dalla L.81/17 è rappresentato dall'incontro delle volontà delle parti (datore di lavoro e dipendente), da tradurre in uno specifico accordo individuale scritto, avente determinati contenuti ed elementi.

L'accordo, che può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato, era dunque sempre imprescindibile sia ai fini della regolarità amministrativa, che della prova, nonchè per regolamentare l’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, con particolare riguardo alle forme di esercizio del potere di direzione e controllo del datore di lavoro, alla sicurezza, ai diritti e doveri del lavoratore agile, agli strumenti da quest'ultimo utilizzati per adempiere le mansioni assegnategli, ai tempi di riposo ed al diritto di disconnessione dagli strumenti lavorativi. Detto accordo può essere a termine o a tempo indeterminato.

Il diritto allo smart working sancito dal Decreto Rilancio e prorogato dal Decreto n.104 di agosto 2020.

Per fronteggiare l’emergenza il cd. "Decreto Rilancio", D.L. n.34 del 19 maggio 2020, è intervenuto a stabilire, sino alla cessazione dello stato di emergenza, da un lato un generalizzato accesso semplificato al lavoro agile, vale a dire senza necessità di accordo individuale; e dall'altro lato un vero e proprio diritto allo smart working per tutti quei genitori, dipendenti del settore privato, che abbiano a carico almeno un figlio under 14, al ricorrere di determinate condizioni.

Il legislatore è poi intervenuto nuovamente nell'agosto 2020, con i Decreto n.104 del 14 agosto 2020, prorogando l'accesso facilitato ed il diritto ad un istituto (lo smart working appunto) che, nella fase critica della pandemia, si è rivelato di estrema importanza per molteplici fattori:

I presupposti del diritto per i lavoratori e l'accesso semplificato per le aziende.

Tutti i dipendenti hanno diritto al lavoro domiciliare o smart working? e fino a quando?

Sino alla fine della fase dell'emergenza, i presupposti del diritto a pretendere ed ottenere, da parte del proprio datore di lavoro, condizioni “domiciliari” di svolgimento della proprie mansioni lavorative sono i seguenti:

Tale diritto (per i genitori) di "pretendere" lo smart working sussiste ed è previsto, ad oggi, fino al 14 settembre 2020, non a caso in coincidenza della prossima riapertura delle scuole.

Il diritto rimarrà invece vigente fino al 15 ottobre 2020 solo per le seguenti categorie considerata più a rischio:

Avranno invece semplice diritto di precedenza, rispetto agli altri, nell'accedere allo smart working:

Infine, a prescindere dalla emergenza Covid, resta fermo il principio generale della priorità nell'accoglimento delle richieste di smart working per le lavoratrici donne nei 3 anni successivi al congedo di maternità e per i genitori con figli disabili, come previstp dalla Legge di Bilancio 2019.

E i datori di lavoro?

Inoltre, al di là del diritto alle citate condizioni, tutti i datori di lavoro potranno accedere allo smart working e quindi applicare ai propri dipendenti (lavoratori subordinati) tale modalità di lavoro agile e domiciliare - senza necessità di accordo individuale - fino al 15 ottobre 2020: il Decreto di agosto ha così scongiurato la necessità di regolarizzare la prosecuzione dello smart working facendo sottoscrivere a stretto giro un accordo scritto individuale a tutti i lavoratori coinvolti.

Infine, il Decreto di agosto 2020 ha abrogato quel meccanismo di proroga automatica (per un periodo pari alla durata della sospensione dell’attività lavorativa per Covid19) dei contratti a tempo determinato (anche in regime di somministrazione), e di apprendistato per la qualifica e di alta formazione, che era stata previsto dalla Legge di conversione del "Decreto Rilancio".

Lo scenario post emergenza: le opportunità che si prospettano.

Al termine del vigore di tale procedura agevolata per lo smart working, corrispondente alla fine della proroga dello stato emergenziale, vale a dire dopo il 15 ottobre 2020, tornerà in vigore - salvo nuovi interventi normativi - la necessità dell’accordo individuale tra datore di lavoro e dipendente per attuare validamente il lavoro agile o smart working .

Il sentiment è che lo smart working proseguirà per molte aziende e lavoratori anche oltre la fase di emergenza, se non altro perché si registra soddisfazione da parte di molte imprese, che hanno scoperto l’efficienza di un simile strumento, arrivando alcune di esse a dismettere sin d’ora gran parte delle proprie strutture-ufficio, con un notevole risparmio nei costi di gestione aziendale (affitti, locazioni, protocolli salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, mensa, etc).

Per le aziende che vogliono adottare in pianta più stabile questa nuova disciplina sarà fondamentale la consulenza dell'avvocato specializzato in materia, nella fase di determinazione degli accordi individuali, così da regolamentare in maniera chiara e corretta i diritti e doveri del lavoratore agile, con un focus sul lavoro per obiettivi e su alcuni aspetti critici come i poteri di controllo del datore, il diritto alla disconnessione del lavoratore, etc. In questo modo potrà essere consolidata quella che si sta rivelando a tutti gli effetti una situazione win - win, a vantaggio cioè di entrambe le parti del rapporto.

Il lavoratoreannullati tempi e costi di spostamento, vede il proprio stress ridursi e, con la corretta gestione delle mansioni e degli obiettivi, diventa più produttivo oltre che più fedele all’azienda, poiché soddisfatto delle proprie condizioni di lavoro.

Per l’azienda, come dicevamo, si aprono scenari di grande risparmio economico nei costi di gestione, oltre all’opportunità di attuare ulteriori politiche di welfare e defiscalizzazione.

In conclusione...

In questo articolo ho esposto le nozioni fondamentali e le principali novità in materia di smart working e lavoro agile, al fine di consentire al lettore, che sia azienda o lavoratore, di acquisire maggiore consapevolezza sui requisiti e sulle notevoli opportunità connesse a tale particolare tipologia di lavoro.

Ovviamente, ogni fattispecie ha delle proprie peculiarità che devono essere analizzate per poter raggiungere il miglior risultato atteso: pertanto che tu sia un lavoratore, oppure un imprenditore, troverai essenziale avvalerti di un professionista specializzato in Diritto del Lavoro per tutelare al massimo i tuoi interessi, in relazione alle opportunità e agli innumerevoli vantaggi dello smart working.

LEGGI ANCHE: