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Licenziamento senza giusta causa, e reintegrazione nel posto di lavoro.

Licenziamento senza giusta causa: quando si verifica? 

Cosa fare per ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro?

Ho diritto al risarcimento?

Il licenziamento per “giusta causa”, senza alcun dubbio l’ipotesi più ricorrente tra le fattispecie di licenziamento per motivi disciplinari.

La ragione sta (di norma) nel fatto che il datore di lavoro ricorrendo alla giusta causa può licenziare con effetti immediati, vale a dire senza dare il preavviso (e senza nemmeno pagare l’indennità di preavviso).

Naturalmente, come tutti i licenziamenti per motivo soggettivo (cioè non per ragioni economico-organizzative, bensì basati su uno o più addebiti contestati nei confronti del dipendente), anche il licenziamento per giusta causa deve essere preceduto da una corretta procedura disciplinare, che contempla come primo step (per il datore di lavoro) quello di effettuare una puntuale, e non generica, contestazione dell’addebito al lavoratore, peraltro con tempestività rispetto al verificarsi dei fatti per cui si procede.

Quando una contestazione disciplinare si traduce in licenziamento senza giusta causa?

Esiste un principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento del licenziamento (e più in generale di ogni sanzione disciplinare).

Secondo tale principio fondamentale al datore di lavoro è vietato infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati (Cass. 17 luglio 2018, n. 19023).

Pertanto, in tutti i casi in cui la lettera di licenziamento descriva in maniera generica le condotte imputate al lavoratore dipendente, senza fornire alcun riferimento temporale e senza precisare alcun fatto storico, essa potrà essere impugnata dal lavoratore.

Ma vi è di più!

Quanto si può ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro?

L’inosservanza, da parte del datore di lavoro, del principio di corrispondenza e di specificità della contestazione disciplinare (di cui sopra) costituisce violazione della procedura a tutela dei dipendenti prevista dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.

Essa come tale, di regola, integra un chiaro vizio formale, che determina l’applicazione di una indennità risarcitoria in favore del lavoratore ingiustamente licenziato, che sulla base di alcuni criteri (in primis l’anzianità, il comportamento scorretto dal datore, carichi di famiglia) arriva fino ad un massimo di 12 mensilità.

Tuttavia, a maggior tutela del dipendente, è possibile applicare anche la tutela reintegratoria nelle ipotesi in cui il licenziamento disciplinare sia stato intimato in virtù di fatti contestati che si rivelano in realtà materialmente non esistenti (ossia “inventati” dal datore di lavoro).

Ebbene, il parametro per valutare la sussistenza o meno dell’addebito (ossia del fatto che ha costituito il motivo del licenziamento) è dato dalla contestazione disciplinare: sicchè la totale mancanza di questa non integrare un mero vizio formale, ma (precludendo in origine la stessa possibilità di ogni valutazione in merito) viene equiparata all’ipotesi di insussistenza del fatto contestato, ossia del motivo di licenziamento.

Ne consegue l’annullamento del provvedimento espulsivo illegittimo, con diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro (sostituibile con una indennità pari a 15 mensilità), oltre all’ulteriore indennità/risarcimento del danno pari alla sommatoria delle mensilità retributive che intercorrono dalla data di licenziamento sino all’effettiva reintegra.

Tale principio è confermato dalla Suprema Corte di Cassazione, affermando che il radicale difetto di contestazione dell’infrazione determina l’inesistenza dell’intero procedimento, e quindi del motivo addotto a base del licenziamento; e precisando che a corroborare la sua inesistenza concorre anche la totale genericità dei fatti descritti nella lettera di licenziamento. (Cass. 14 dicembre 2016, n. 25745)

In conclusione…

Con il presente articolo, partendo da alcuna sentenze della Cassazione, ho riassunto i principi basici del licenziamento per giusta causa, al fine di rendere il lavoratore sempre più consapevole di eventuali violazioni da parte del suo datore di lavoro, che gli possono aprire le porte della reintegrazione e del massimo risarcimento danni previsto dalla legge (ovviamente alla condizioni sopra succintamente spiegate).

E’ altrettanto ovvio che ogni situazione lavorativa presente le sue peculiarità, e solo l’analisi approfondita del tuo caso da parte dell’avvocato esperto in diritto del lavoro, specializzato cioè in questa materia, potrà essere garanzia della migliore tutela dei tuoi diritti.

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