Aggiornamento: novità Decreto Fiscale 21 ottobre 2021 – Proroga CIG e Blocco Licenziamenti 31 dicembre 2021.

Aggiornamento ottobre 2021: quale disciplina in vigore dal 22 ottobre 2021 in materia divieto licenziamenti individuali e collettivi?

Con l’entrata in vigore, il 22.10.21, del DL del 21 ottobre 2021 n. 146 (cd. Decreto Fiscale - Lavoro) vengono introdotte “misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili “ con importati novità in materia di lavoro e previdenza, tra le quali innanzitutto le seguenti:

Proroga, per alcuni settori, della Cassa Integrazione e del divieto di licenziamenti:

Il DL 21 ottobre 2021 , n. 146, introduce l’estensione della Integrazione Salariale con annessa proroga del conseguente divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo nei seguenti casi.

  1. per i lavoratori in forza al 22 ottobre 2021, prevede la possibilità di estendere la domanda di assegno ordinario e di cassa integrazione salariale in deroga per una “durata massima di tredici settimane nel periodo tra il 1° ottobre e il 31 dicembre 2021”, senza contributo addizionale e nel limite di spesa di 657,9 milioni di Euro per il 2021, ai datori di lavoro che operano in settori non industriali, tutelati dal Fondo di Integrazione Salariale ( FIS ), dai Fondi di solidarietà bilaterali ( per entrambi assegno ordinario ) e dalla Cassa Integrazione in Deroga, semprechèsi tratti di datori di lavoro che hanno esaurito le 28 settimane di ammortizzatori covid-19 previste dal Decreto Sostegni ( DL 41/2021 ).
  2. inoltre, sono possibili ulteriori 9 settimane di cassa ordinaria COVID-19 per le aziende tessili, di confezione di articoli di abbigliamento, in pelle e pelliccia e di fabbricazione di articoli in pelle e similari (codici Ateco2007 13 – 14 – 15 ), semprechè le aziende abbiano esaurito le 17 settimane di ammortizzatori sociali covid-19 (previste dall’art. 50-bis del DL 25 maggio 2021 n. 73 - cd. DL Sostegni-bis ); anche in questo caso senza contributo addizionale, con possibilità di pagamento diretto dell’INPS, nel limite di spesa di 140,5 milioni di Euro per il 2021.

In entrambi i casi è previsto come detto il blocco dei licenziamenti per tutta la durata del trattamento di integrazione salariale richiesto.

Molti lavoratori ancora chiedono se tale divieto di licenziamento si estenda anche alle ipotesi di licenziamento per giusta causa: la risposta è certamente no, in quanto la giusta causa di licenziamento è, come lo è sempre stato, un motivo che esula dal c.d. blocco dei licenziamenti, essendo gravemente basato su causa disciplinare (art. 2119 Codice Civile; art. 7 Statuto dei Lavoratori).

Infine, in materia di Congedi parentali straordinari per lavoratori-genitori il DL 164 in oggetto ha confermato la possibilità di astenersi dal lavoro fino la 31.12.2021 per i genitori di figli minori di 16 anni, in caso di sospensione dell’attività didattica in presenza, nonché in caso di infezione da Covid-19 o di quarantena disposta dalle strutture sanitarie; laddove, qualora il figlio convivente sia minore di 14 anni, è riconosciuta un’indennità pari al 50 % della retribuzione.

Sul fronte Malattia e quarantena, poi, è stata prorogata fino al 31 dicembre 2021 l’equiparazione, ai fini del corrispondente trattamento economico, del periodo di quarantena alla malattia.

Cosa prevede la normativa in vigore fino al 31 ottobre 2021 sul blocco dei licenziamenti ?

Il c.d. Decreto Lavoro e Imprese (D.L. n. 99 del 30 giugno 2021), pubblicato in Gazzetta Ufficiale in pari data, esclusivamente per i settori ritenuti più in crisi (tessile e abbigliamento) ha prorogato il divieto dei licenziamenti individuali e collettivi per g.m.o. (giustificato motivo oggettivo) sino al 31 ottobre 2021; introducendo la possibilità, per tutte le imprese di altro settore, di utilizzare invece ulteriori 13 settimane di CIG nel 2021.

Vediamo quindi nel presente articolo aggiornato :

a) quali sono le categorie dei lavoratori "al sicuro" e quali invece quelle a "rischio" licenziamento già dal 1 luglio 2021;

b) quali imprenditori e aziende potranno far ricorso ancora una volta alla Cassa Integrazione;

c) ed infine quali sono le eccezioni che consentono in ogni caso di procedere con l'eventuale licenziamento a prescindere dal settore e della proroga del divieto.

La disciplina del divieto di licenziamento sino al 30 giugno 2021

L'ultimo Decreto Legge (n.41 del 22 marzo 2021) aveva prorogato il divieto di licenziamento fino al 30 giugno 2021 per tutte le imprese, estendendo ulteriormente il blocco dei licenziamenti sino al 31 ottobre 2021 per le imprese beneficiarie dei trattamenti di Assegno Ordinario e di Cassa Integrazione in Deroga (CIGD) per Covid.

Rientrano nel divieto le procedure di licenziamento collettivo, i licenziamenti individuali o plurimi per c.d. "giustificato motivo oggettivo".

In questo articolo, vedremo però come il divieto di licenziamento non sia assoluto, lasciando cioè dei margini operativi e di licenziamento alle Imprese e Società, che ogni dipendente dovrebbe conoscere e tener bene a mente per non rischiare "spiacevoli soprese" in un periodo storico così particolare.

La legge sopra citata aveva quindi mantenuto il divieto di effettuare licenziamenti per motivi oggettivi, da parte di tutti i datori di lavoro a prescindere dal requisito dimensionale, in relazione alle fruizione degli ammortizzatori COVID-19.

In particolare il divieto riguardava:

- le procedure di licenziamento collettivo, previste dagli articoli 4, 5 e 24, della Legge n. 223/1991,

- procedure di licenziamento collettivo avviate dopo il 23 febbraio 2020,

- licenziamenti individuali o plurimi per motivo oggettivo,

- procedure di conciliazione obbligatoria, previste dall’articolo 7 della Legge n. 604/1966, per i lavoratori in tutela reale (ante Jobs Act).

a) Procedure di licenziamento collettivo:

è ammessa una eccezione allorquando i dipendenti interessati al recesso risultino impiegati in un appalto che ha subìto un cambio di appaltatore, il quale, in forza di una norma o in base ad una disposizione del ccnl, o di clausola prevista all’interno dello stesso contratto di appalto, è obbligato a riassumere il personale in forza al momento del subentro.

b) Licenziamenti individuali, anche plurimi:

sono i recessi effettuati per ragioni inerenti l'attività produttiva, l’organizzazione del lavoro ed il regolare funzionamento di essa, così come previsto dall’articolo 3, della legge n. 604/1966. Quindi per motivazioni non disciplinari né riguardanti il lavoratore (motivi soggettivi), ma legate esclusivamente a scelte organizzativo-imprenditoriali, quali ad esempio:

· Ristrutturazione dei reparti

· Soppressione del posto di lavoro

· Impossibilità della ricollocazione, anche all’interno del “gruppo di imprese”

· Licenziamento del lavoratore a tempo indeterminato in edilizia, anche per chiusura del cantiere

· Riassetto organizzativo finalizzato ad una migliore gestione economica dell'impresa

· Informatizzazione dei servizi che rendano necessaria una modifica dell'organizzazione delle prestazioni

· Cessazione dell'attività produttiva

· Terziarizzazione o esternalizzazione di attività

· Chiusure di reparti o filiali

· Inadempimento del dipendente a lui non imputabile, come, ad esempio, la sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni

· Provvedimenti di natura amministrativa che incidono sul rapporto di lavoro: ritiro del porto d'armi con riferimento ad una guardia giurata, ritiro della patente di guida nell'ipotesi di un autista.

c) sono infine vietati i “recessi plurimi” per esigenze oggettive dell’azienda, che vengono effettuati nell’arco temporale di 120 giorni pur non raggiungendo le cinque unità di lavoratori coinvolti e licenziati.

Dal 1 luglio 2021 per chi vige (ancora) il divieto di licenziamento ?

Tra le numerose misure introdotte, il decreto D.L. n.99/2021 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30.06.21 sancisce la proroga fino al 31 ottobre 2021 del divieto di licenziamento per i soli datori di lavoro della c.d. moda e tessile allargato, ossia:

i quali tutti siano identificati, secondo la classificazione delle attività economiche Ateco2007, con i codici 13, 14 e 15.

Al contrario, per tutti gli altri datori di lavoro, che operano in settori diversi da quelli sopra elencati ed identificati dai codici Ateco, a partire dal primo luglio è invece superato il divieto e possono quindi liberamente recedere dal rapporto di lavoro adducendo il giustificato motivo oggettivo di licenziamento.

Tuttavia il Decreto stesso stabilisce altresì che queste imprese "libere di licenziare" - che non possano più fruire della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria - possano farlo in deroga per 13 settimane fino al 31 dicembre 2021 senza contributo addizionale: solo in tale ipotesi, ossia qualora se ne avvalgano, continuerà a vigere anche per loro il connesso e conseguente divieto di licenziare.

Il licenziamento per giusta causa e le altre eccezioni che consentono di licenziare nonostante il divieto e quali sono quindi i lavoratori a rischio ?

Non sono qualificabili come licenziamento per giustificato motivo oggettivo, e quindi sono esclusi dal divieto di licenziamento, le seguenti risoluzioni del rapporto di lavoro:

· licenziamento per motivi disciplinari: si tratta dei licenziamenti effettuati al termine della procedura prevista dall’articolo 7 della legge 300/1970, allorquando il lavoratore abbia commesso un inadempimento grave agli obblighi contrattuali (a seconda della gravità: licenziamento per giustificato motivo soggettivo , ovvero licenziamento per giusta causa);

· licenziamento per superamento del periodo di comporto;

· licenziamento durante o alla fine del periodo di prova;

· licenziamento per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia;

· licenziamento per sopravvenuta inidoneità alle mansioni;

· licenziamento del lavoratore domestico;

· licenziamento del dirigente (che non sia “pseudo-dirigente”);

· la risoluzione dell’apprendista al termine del periodo di apprendistato;

· licenziamento dell’ex socio di una cooperativa di produzione e lavoro, previa risoluzione dal rapporto associativo, in base allo Statuto societario e dal regolamento;

- risoluzione consensuale del rapporto

- in caso di fallimento, qualora non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l'esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso;

- cessazione definitiva dell'impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività; a meno che non si configuri un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa (art. 2112 c.c.);

- accordo collettivo aziendale, sottoscritto con le organizzazioni sindacali territoriali (non rsa o rsu) comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Queste le caratteristiche che dovrà avere la procedura: purchè sia previsto un incentivo per i dipendenti alla risoluzione del rapporto di lavoro; e si tratti di una adesione dei singoli lavoratori certificata da un accordo individuale in sede cd. protetta. Per i lavoratori è riconosciuto il diritto alla NASPI (articolo 1, del decreto legislativo n. 22/2015.

In conclusione

A seguito dell'aggiornamento normativo del 30 giugno 2021, abbiamo dunque visto come dal 1 luglio 2021 sia ora vigente un c.d. divieto "selettivo" di licenziamento, correlato a ben precisi e circoscritti settori di attività o all'utilizzo di un'apposita estensione in deroga della Cassa Intregrazione salariale.

Abbiamo altresì constatato, in questi mesi di blocco licenziamenti, come molti datori di lavoro abbiamo comunque fatto ricorso a delle causali disciplinari, per intimare dei licenziamenti per asserita "giusta causa".

Conoscere in maniera specifica le situazioni di diritto, nelle quali ci si trova in concreto, è essenziale:

L'assistenza dell'avvocato specialista nel Diritto del lavoro riveste quindi sempre un ruolo fondamentale per prevenire e risolvere situazioni critiche ed ottenere il miglior risultato possibile.

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Rischio Covid: Infortunio sul lavoro o malattia?

Quando la malattia da Covid integra l'infortunio sul lavoro ?

Si è fatta spesso confusione tra infortunio sul lavoro e responsabilità del datore del lavoro in materia di sicurezza, tra diritto all'indennizzo INAIL e risarcimento civile del maggior danno: facciamo un po' di chiarezza su questi temi per comprenderli e capire quando e come potersi tutelare, in ogni caso, efficacemente.

Secondo il Testo Unico per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, gli elementi necessari affinché si configuri un infortunio sul lavoro sono:

la causa violenta;

l’occasione di lavoro;

la lesione come conseguenza dell’evento.

La causa violenta consiste in un evento che con forza concentrata e straordinaria agisca, in occasione di lavoro, dando luogo ad alterazione lesive: esso distinguere l’infortunio dalla malattia professionale.

Di contro, nella fattispecie “malattia professionale”, la lesione si registra come diretta conseguenza di una prolungata esposizione all’agente patogeno”.

Alla luce di ciò, nel caso di contagio da Covid-19 il legislatore ha ritenuto si configuri la causa violenta e lo ha qualificato, pertanto, infortunio sul lavoro.

Il fatto di essere qualificato infortunio sul lavoro (anziché malattia professionale), fa sì che la patologia da Covid 19 costituisca infortunio senza necessità di accertare il nesso causale tra esposizione al rischio e lesione, come nel caso di malattia professionale, bensì è sufficiente che l’evento si sia verificato in “occasione di lavoro”.

Secondo la giurisprudenza l’infortunio fa sorgere il diritto all’indennizzo anche nell’ipotesi del rischio improprio, ossia non solo in quello intrinsecamente connesso all’esecuzione delle mansioni tipiche del lavoro prestato dal dipendente, ma altresì in quel rischio insito in un’attività prodromica e strumentale allo svolgimento delle suddette mansioni e, comunque, ricollegabile al soddisfacimento di esigenze lavorative (cfr. Cass. civ., sez. lavoro, 14 ottobre 2015, n. 20718).

In definitiva, affinché l’infortunio sia indennizzabile da parte dell’INAIL, non è necessario che l’evento lesivo sia avvenuto nell’espletamento delle mansioni cui il lavoratore è tipicamente adibito, essendo sufficiente che lo stesso sia occorso durante lo svolgimento di attività strumentali o accessorie.

Quali sono le conseguenze positive per il dipendente ?

La legge stabilisce che in caso di malattia il rapporto di lavoro è sospeso e il datore di lavoro non può licenziare il dipendente malato fino a che non sia scaduto il c.d. periodo di comporto, ossia di conservazione del suo posto di lavoro, secondo quanto stabilito al riguardo dai Contratti Collettivi (applicati dall’impresa in questione).

Ebbene, il periodo di infortunio sul lavoro correlato al Covid19 :

Cosa si intende per “presunzione di origine professionale dell’evento lesivo” per alcune categorie di lavoratori.

Con la circolare n. 13/2020 l’Inail introduce una presunzione semplice di origine professionale del contagio da Covid-19 operante a favore di alcune categorie di lavoratori, derivante dalla maggiore esposizione al rischio in ragione delle particolari mansioni cui sono adibiti.

Operatori sanitari

Il classico esempio di tali categoria è rappresentato dagli operatori sanitari o ospedalieri, per il quali il rischio diventa addirittura “specifico”, con tutte le implicazioni anche in termini di obblighi datoriali per la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Operatori a contatto con il pubblico

Altro categoria è rappresentata da coloro che nell’espletamento delle loro mansioni si trovato a contatto diretto con l’utenza pubblica, come ad esempio:

- operatori front-office

- addetti alla cassa

- addetti alle vendite/banconisti

- personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi

Tale presunzione consente, a determinate condizioni, di riconoscere protezione assicurativa ed indennizzo anche nei casi in cui l’identificazione delle precise cause del contagio si presenti di difficile verifica.

A tal proposito, il quadro normativo di riferimento prevede che “Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato”.

Per tutte queste categorie di lavoratori in caso di contagio, il requisito dell’occasione di lavoro sarà, pertanto, presunto, salvo prova contraria che dimostri con certezza che lo stesso sia avvenuto per ragioni estranee all’attività lavorativa.

E le responsabilità del datore di lavoro ?

E' opportuno precisare che i criteri di accertamento presuntivo del nesso di causalità ai fini della tutela assicurativa e indennitaria, avendo funzione solidaristico-previdenziale, sono profondamente diversi e restano distinti dai criteri che invece valgono a fondare, o meno, una responsabilità di natura civile, ed anche penale, del datore di lavoro.

Queste ultime devono essere infatti acclarate sulla scorta di criteri diversi da quelli operanti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative, che attengono alla diligente e perita attuazione di determinate misure di sicurezza, come prescrive in linea generale l’art. 2087 c.c., e come previsto in via speciale dai protocolli condivisi (stipulati dalle parti sociali per i diversi settori produttivi)  di prevenzione e contenimento rischio Covid 19.

In particolare, nel decreto-legge n. 23 del 2020, e precisamente all’art. 29-bis, il legislatore ha precisato che “Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni  contenute” nei diversi protocolli sottoscritti dalle parti sociali.

L’art. 2087 c.c., che sebbene “rafforzato” per effetto delle specifiche dedotte nei protocolli anti-Covid, non esprime una responsabilità di natura oggettiva, bensì sempre dipendente da fattori di negligenza, imprudenza e imperizia datoriale.

In conclusione:

Abbiamo appena visto su quali presupposti si fonda il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro da Covid 19 ed il relativo diritto all’indennizzo assicurativo INAIL.

Acquisire conoscenze e consapevolezza è sempre il primo step per tutelare i propri diritti, mentre rivolgersi all’avvocato specializzato in Diritto del Lavoro è sempre fondamentale per ottenere il miglior risultato possibile, perché nella sfortunata ipotesi di malattia all’indennizzo può sommarsi un risarcimento o altro tipo di ulteriore tutela, che potrebbe spettare al lavoratore in determinate situazioni.

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Malattia-Covid19 e "quarantena": come impattano sul tuo diritto alla conservazione del posto lavoro?

Come e in che modo la quarantena e la malattia per Covid-19 incidono sul periodo di c.d. "comporto" e quindi sul diritto alla conservazione del posto di lavoro?

In linea generale, alla luce del nuovo quadro normativo dettato dalle misure legislatite anti-Covid, recepito anche dalla stragrande maggioranza dei Contratti Collettivi, il periodo trascorso in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva:

Cosa si intende per periodo o termine di "comporto"?

La legge dispone che in caso di malattia il rapporto di lavoro è sospeso e il datore di lavoro non può licenziare il dipendente malato fino a che non sia scaduto il periodo di conservazione del suo posto di lavoro, secondo quanto stabilito al riguardo dai Contratti Collettivi (applicati dall'impresa in questione): tale periodo di conservazione obbligatoria è il cosiddetto periodo di comporto. 


Naturalmente, qualora si accerti la violazione di tale divieto, il lavoratore potrà accedere alla tutela risarcitoria, parametrata ad un numero anche rilevante di mensilità e variabile in relazione ad alcuni fattori.


Normalmente, i contratti collettivi sono soliti distinguere tra
- comporto secco, quando il termine di conservazione del posto fa riferimento ad un'unica malattia di lunga durata
- comporto per sommatoria, quando invece il periodo fa riferimento e contempla più malattie distinte.

Solo una volta decorso per intero il periodo o termine di comporto il lavoratore potrà essere licenziato dall'imprenditore, sebbene permanga il suo comprovato stato di malattia.

Come conservare il posto di lavoro, una volta esaurito il periodo di comporto? 

Tuttavia, in un'ottica di maggior tutela per la parte debole del rapporto (il lavoratore suborodinato malato), è bene verificare se sussistono, come spesso accade, disposizioni del ccnl di riferimento che consentano al dipendente di ottenere la c.d. aspettativa non retribuita: essa, per un periodo massimo indicato dal contratto, fa infatti sì che il rapporto di lavoro prosegua (in assenza di prestazioni lavorative e della correlata retribuzione salariale) anche oltre il termine di comporto, e per periodo anche piuttosto lunghi a seconda dei casi.

Inoltre è utile sapere che il datore di lavoro, normalmente, ha l'onere (che fa capo ai principi cardini e generali di "buona fede" e "correttezza" contrattuale) di preventivamente comunicare al lavoratore la facoltà di fruire della citata aspettativa; ed in pochi sanno che, in difetto, il dipendente malato potrà impugnare efficacemente il licenziamento ed ottenere il dovuto risarcimento, come stabilito in alcune sentenze dalla Corte di Cassazione.

Per giunta, non tutti sanno che il datore di lavoronon puòrifiutare l'aspettativa se non dimostrando la sussistenza di seri motivi, oggettivamente verificabili e non arbitrari, che siano impeditivi alla concessione della stessa.

Ulteriormente, è bene sapere che la domanda finalizzata ad usufruire dell’aspettativa dev’essere presentata dal lavoratore interessato e non può essere disposta unilateralmente dal datore di lavoro.

La malattia per Covid19 e quarantena con serveglianza attiva: quali effetti sulla conservazione del posto di lavoro?


La normativa introdotta dai DPCM per contrastare l'epidemia da Covid19 ha previsto che i periodi di quarantena e di permanenza domiciliare fiduciaria sotto "vigilanza attiva" sono equiparati alla malattia solo ai fini del trattamento economico, ma che essi invece non sono computabili ai fini del "comporto".

Ciò significa che i giorni di malattia per Covid sono esplicitamente estromessi dal computo delle assenze lavorative ai fini del calcolo del (complessivo) periodo o termine del c.d. comporto, rilevante per la conservazione del proprio posto di lavoro.

Allo stesso modo, il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva dai lavoratori del settore privato, è anch'esso equiparato a malattia (ai fini del trattamento economico) e non è computabile nel periodo di comporto.

Nello specifico, i suddetti periodi di malattia Covid e quarantena con sorveglianza attiva sono equiparati al periodo di ricovero ospedaliero, e pertanto per i connessi periodi di assenza dal lavoro, non si applica la generale decurtazione del trattamento accessorio per i primi dieci giorni (RPD per i docenti, CIA per il personale TA, Indennità di amministrazione per il personale EP); ed il lavoratore è inoltre esentato dal rispettare le fasce orarie di controllo mediante c.d. visita fiscale.

Al riguardo, è utile sapere che si considera quarantena ai suddetti fini e diritti, l’assenza dal luogo di lavoro per il tempo intercorrente tra l’esito (che risulti positivo) delle analisi sierologiche e del tampone, con presentazione di idoneo certificato medico rilasciato dal medico e/o ASL competente.

Diverso, è invece il caso in cui, una volta avvenuta la guarigione dall’infezione Covid19, il lavoratore dovesse sviluppare – quindi in un secondo e distinto momento – delle patologie correlate. In tali casi, purtroppo, non vi è stato, ad oggi, alcun intervento legislativo volto a tutelare il dipendente, che in teoria si trova esposto alla possibilità di essere licenziato per superamento del comporto.

In tal caso è bene considerare e valutare (con un avvocato specializzato in materia di Diritto del Lavoro) una serie di circostanze, al fine di poter comunque ottenere la massima tutela possibile.

Cosa accade in caso di Cassa Integrazione e Malattia-Covid?

Qualora l'azienda abbia fatto ricorso alla Cassa Integrazione, in caso di malattia del lavoratore, il trattamento di integrazione salariale sostituirà l’indennità giornaliera di malattia (e l'eventuale integrazione contrattualmente prevista).

 Al contrario, nel caso di Cassa integrazione non a zero ore, ma con rotazione dei dipendenti ad orario ridotto, prevarrà l’indennità economica di malattia.

Inoltre, anche in caso di Cassa integrazione a zero ore, qualora lo stato di malattia sia precedente all’inizio della sospensione (dell’attività lavorativa) in Cassa, e non venga sospesa la totalità del personale, dell'unità cui è addetto il lavoratore in malattia, prevarrà l’indennità di malattia.

Tali regole valgono anche per le domande di integrazione salariale (CIGO, FIS, CIGD) intervenute nel corso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.  

Per concludere:

In questo articolo ha riassunto gli effetti della quarantena e della malattia (Covid) rispetto al comporto ed al diritto di conservazione del posto di lavoro, analizzandone alcuni aspetti.

Come sempre, ogni situazione lavorativa e personale del dipendente hanno precise peculiarità che devono essere approfondite e ben valutate, attraverso una consulenza specialistica dell'avvocato esperto in Diritto del Lavoro, onde poter garantire al lavoratore una tutela tempestiva ed efficace dei suoi diritti.

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Smart working: scenario sino al 2021, diritto al lavoro agile, e compatibilità con la "quarantena".

Quali sono le regole sullo smart working a partire dal 16 ottobre 2020?

Con l'ultimo intervento legislativo, adottato dal governo per fronteggiare l'aggravarsi della situazione epidemiologica Covid19, viene mantenuto in essere il regime di accesso agevolato, a regime semplificato, del lavoro agile o smart working.

Infatti, sino al nuovo termine stabilito per la fine dello "stato di emergenza", vale a dire fino al 31 gennaio, rimarrà in vigore la facoltà di accesso semplificato al lavoro agile, ossia la possibilità di adottare le modalità lavorative da remoto o domiciliari per moltissimi dipendenti, senza necessità di stipulare alcun accordo individuale, in deroga ciò alla normativa di riferimento (L.81/2017).

Cosa cambia una volta terminato lo stato di emergenza ?

Ciò significa anche che, sino a nuovo ordine (nuovi interventi normativi specifici), a partire dal 1 febbraio 2021, le aziende che intendessero attivare, per uno o più dipendenti, il lavoro agile dovranno ottemperare all’obbligo di stipula dell' apposito accordo individuale in forma scritta con il lavoratore interessato, finalizzato a disciplinare alcuni aspetti fondamentali di tale modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, ed in primis:

L’ accordo individuale può avere un termine o essere a tempo indeterminato. Nel secondo caso è ammesso il recesso di una delle parti con il dovuto (salvo che sussista un giustificato motivo), mentre nel primo il recesso anticipato necessita sempre del giustificato motivo.

L’azienda può ovviamente stipulare un apposito accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o territoriali, con cui regolare alcuni aspetti collettivi e criteri di scelta nell'individuazione dei dipendenti, sia per garantire i principi di uguaglianza (parità di trattamento in condizioni uguali, e trattamenti differenziati per situazioni difformi), ma anche per consentire l'accesso prioritario ai lavoratori disabili, nonchè per i lavoratori che hanno maggiori necessità, come coloro che assistono familiari in tali condizioni.

Diritto allo smart working dei genitori di figli minori di 14 anni.

Inoltre, fino al 31 dicembre 2020, i lavorato subordinati (dipendenti) con figli conviventi under 14 sottoposti a quarantena avranno diritto allo smart working per parte o per l’intero periodo di quarantena del figlio disposta dal Dipartimento prevenzione dell’ASL competente per territorio, a seguito di contatto verificatosi all’interno dell’istituto scolastico.

Qualora lo smart working non sia attuabile, ad esempio in quanto incompatibile con le mansioni del lavoratore, uno dei genitori potrà optare per un periodo di astensione retribuita dall’INPS in misura pari al 50% della retribuzione: il c.d. congedo parentale speciale, non fruibile contemporaneamente da entrambi i genitori.

Peraltro, nei giorni non lavorativi o in quelli dove l’interessato svolge l’attività in smart working (ordinario, semplificato o ai sensi del Decreto n. 111) l’altro genitore non potrà esercitare il diritto al lavoro agile legato alla quarantena del figlio.

La quarantena del lavoratore è compatibile con lo smart working?

L' INPS ha di recente confermato la propria posizione di favore per la compatibilità tra lo stato di quarantena e lo smartworking: lo stato di quarantena non configura di per sè un’incapacità temporanea al lavoro, causata da una patologia che impedisce in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa, bensì essa si configura come una situazione di potenziale rischio.

Lo stato di malattia è infatti conclamato laddove vi sia un certificato medico che lo accerti e dal quale discenda inabilità (temporanea) al lavoro tout court, in questo caso (solo in questo) con il diritto di accedere alla prestazione previdenziale prevista.

Pertanto tale prestazione dell'INPS non interviene nei casi in cui il lavoratore si trovi in quarantena ma possa svolgere, e di fatto continui a svolgere (sulla base di accordi con il proprio datore) l’attività lavorativa, ricorrendo a concordate modalità di svolgimento delle proprie mansioni da remoto o al proprio domicilio (ossia alternative alla presenza in ufficio): fattispecie in cui, difatti, non ha luogo la sospensione dell’attività lavorativa, nè della correlata retribuzione

Per concludere...

Abbiamo visto in questo articolo i punti salienti dello smart working, alla luce delle ultime novità e della normativa di riferimento.

In estrema sintesi, con la proroga dello stato di emergenza al 31 gennaio 2021, resteranno in vita anche le regole dello Smart Working semplificato (sino alla suddetta data).

Ciò detto, ogni situazione, come sempre, va analizzata per tutelare in maniera efficace un proprio diritto o i propri interessi; per questa ragione, a maggior ragione in una materia così tecnica e mutevole come il Diritto del Lavoro, la consulenza specialistica da parte dell'avvocato giuslavorista è fondamentale per ottenere il risultato che si intende perseguire, e affinchè esso sia il migliore raggiungibile.

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La revoca del licenziamento da parte del datore di lavoro.

Cosa dice la legge sulla possibilità di revocare un licenziamento ? Ed entro quale termine (dopo la cancellazione della c.d. revoca-Covid-19) ?

Il datore di lavoro ha la facoltà, riconosciutagli dalla legge, di ritornare sui propri passa, laddove si avveda di aver compiuto in maniera illegittima o erronea un licenziamento, o se per qualsiasi altro motivo intenda ripristinare il rapporto lavorativo interrotto (magari anche al fine di evitare un contenzioso giudiziale con il dipendente).

E' bene però sapere che l'atto di revoca da parte del datore di lavoro deve intendersi quale mera offerta di ricostituzione del rapporto, e che in mancanza dell’accettazione del lavoratore essa non è idonea a rimuovere l’effetto estintivo del rapporto medesimo.

Difatti, a seguito del licenziamento il rapporto di lavoro si risolve, e poiché (come per la costituzione) anche per il ripristino del rapporto è necessario il consenso del lavoratore, la revoca dell’atto non può avere, di per sé, detto effetto ricostitutivo o reintegratorio del lavoratore.

Quali effetti derivano dalla revoca di un licenziamento?

Da ciò deriva l'importante conseguenza, secondo cui anche se il datore di lavoro (avvedendosi ad esempio dell'erroneità o illegittimità del suo recesso) effettui un atto di revoca del licenziamento, ciò non determinerà l’estinzione della facoltà del lavoratore di scegliere tra la sua reintegrazione o il pagamento in suo favore dell'indennità sostitutiva della reintegra, prevista in caso di accertamento della illegittimità del licenziamento, a meno che non sia seguito un effettivo ripristino del rapporto per effetto dell'accettazione.

In altri termini, la revoca comporta l’inapplicabilità e potrà quindi evitare le conseguenze di legge a carico dell'imprenditore ed a risarcimento del lavoratore, laddove vi sia una piena restitutio in integrum dei diritti derivanti dal rapporto di lavoro, tale da eliminare tutti gli effetti pregiudizievoli del recesso precedentemente intimato.

Quale forma dovrà avere la revoca?

La revoca del licenziamento del lavoratore subordinato non richiede la forma scritta, in ragione del principio secondo cui la forma degli atti è libera se la legge (o la volontà delle parti) non richiede espressamente una forma determinata.

Del pari, per lo stesso motivo, è libera la forma dell’accettazione, da parte del lavoratore, della revoca del licenziamento, che porterà ovviamente con sè la rinunzia del dipendente a far valere tutti i diritti scaturenti dall'eventuale accertamento di illegittimità del recesso datoriale.

Tuttavia, l'accertamento del fatto che l'accettazione, di una revoca di licenziamento, sia effettivamente intervenuta da parte del dipendente interessato, richiede una ricostruzione della volontà abdicativa in termini certi, nel senso che dalla condotta del lavoratore rinunziante, ai diritti che la legge gli riconosce per l'illegittimità del provvedimento espulsivo, sia tale da evincere in modo univoco la volontà di dismettere un diritto che aveva già fatto ingresso nel suo patrimonio.

La "Revoca-Covid19" nel periodo di emergenza; e la successiva cancellazione con la conversione in legge del DPCM agosto 2020.

Con il Decreto Cura Italia era stata introdotta la possibilità per il datore di lavoro di revocare in ogni tempo i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ampliandone peraltro gli effetti retroattivi già introdotti con la relativa norma del Decreto Cura Italia: ossia estendendo la facoltà di revoca per tutti i recessi datoriali compiuti nell'arco dell'intero anno 2020.

Ebbene, tale estensione temporale della facoltà di revoca scompare con la conversione in Legge del DPCM di agosto 2020, e ciò a ragion veduta atteso che la regola aveva posto non poche problematiche.

Oggi quale è il termine di legge vigente, entro cui esercitare la facoltà di revoca?

Torna così ad essere vigente la norma, secondo cui il licenziamento è revocabile soltanto laddove intervenga entro i 15 giorni successivi alla comunicazione, pervenuta al datore di lavoro, di impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore.

In conclusione...

Il datore di lavoro ha sempre facoltà di valutare anche ex post l'opportunità di ripristinare un rapporto di lavoro con il dipendente inizialemente licenziato, purchè lo faccia nel termine di legge, e con i limiti di efficacia che ho riassunto in questo articolo.

Ovviamente, ogni realtà aziendale è unica, così come uniche sono le circostanze e caratteristiche del rapporto di lavoro con ciascun dipendente. E' pertanto fondamentale, per l'imprenditore, consultarsi tempestivamente con il proprio avvocato specializzato in Diritto del lavoro, in modo da definire e approntare la strategia più efficace per tutelare gli interessi aziendali, e per minimizzare i rischi di un contenzione o di un risarcimento.

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Divieto di licenziamento Covid (DL agosto 2020): proroghe, eccezioni ed opportunità

Con la proroga del divieto di licenziamento (Decreto 14 agosto 2020) come e quando sarà possibile effettuare riduzioni del personale?

Il divieto di licenziamenti individuali e collettivi sancito in ragione dell'emergenza Covid-19 dall’art. 46 del Decreto "Cura Italia", già prorogato sino al 17 agosto da "Decreto Rilancio" (n.34 del 19.05.20), è stato ulteriormente prorogato in maniera però differenziata e variabile in base a determinati fattori, arrivando in alcuni casi sino al 31 dicembre 2020.

Oltre ai dubbi di incostituzionalità che la norma sta sollevando, sono molti gli interrogativi per gli imprenditori e le azienda che, nel tentativo di riprendersi da una crisi così straordinaria, hanno forte bisogno di ottimizzare il proprio assetto organizzativo anche mediante mirate una riduzioni del personale, che in questo scenario di divieto restano assolutamente possibili e legittime a patto di sapere bene come "muoversi" dal punto di vista tecnico-giuridico.

Normativa generale sui licenziamenti: cenni di inquadramento

Come noto la normativa sui licenziamenti è ampia e complessa, ed in questa sede viene toccata solo per fornire un contesto di riferimento, utile al lettore che intenda approfondire il tema in questione.

Parlando per macro classi, i licenziamenti possono essere legittimamente attuati dall’imprenditore

a) in forma individuale: per giustificato motivo oggettivo (ragioni sostanzialmente organizzative), per giustificato motivo soggettivo (ragioni disciplinari gravi), nonchè per giusta causa (ragioni disciplinari “gravissime” anche non tipizzate, purchè tali da recidere irrimediabilmente il rapporto fiduciario datore-dipendente); oltre ad ulteriori causali come mancato superamento della prova, il superamento del periodo di comporto (malattia), etc.

b) in forma collettiva: seguendo i presupposti ed i criteri di cui alla disciplina speciale della Legge 223/1991, e nell’ambito di una procedura articolata che deve necessariamente coinvolgere le rappresentanze sindacali.

Il divieto ai licenziamenti imposto dal Decreto "Cura Italia" e prorogato con il Decreto "Rilancio".

In virtù dell'art. 46 del D.L. cd. “Cura Italia” n.18 del 17 marzo 2020, prorogato poi con il Decreto Rilancio sino al 17 agosto 2020, viene stabilito dal legislatore il ben noto e generalizzato divieto di licenziamento, nei seguenti termini: "A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604"

Dal tenore letterale della norma, appare dunque chiaro che ad essere vietate sono sia le procedure di licenziamento collettivo, sia i licenziamenti individuali per motivi oggettivi, ovvero (nel linguaggio comune) di natura economica-organizzativa.

Sul punto, è quindi opportuno chiarire e ricordare che i licenziamenti collettivi, disciplinati dalla Legge 223/1991 cui fa riferimento il divieto di licenziamento, sono procedure di riduzione del personale

Di converso, il licenziamento individuale interessato dal divieto - a prescindere dal numero dei dipendenti occupati - è (sotto il profilo della causale) soltanto quello per motivo oggettivo, ossia dettato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa; con la precisazione che costituiscono giustificato motivo oggettivo di licenziamento anche la cessazione dell’attività d’impresa, anche solo il venir meno del posto di lavoro identificato dalle mansioni preassegnate (salvo l’obbligo di repechage).

Il regime dei divieti di licenziamento prorogato con Decreto 14 agosto 2020: condizioni e termini variabili

Come detto, il divieto generalizzato di licenziamento avrebbe dovuto terminare il 17 agosto, tuttavia il DL n.104 (14 agosto 2020) ne ha prorogato la durata è stata, ma senza l’individuazione di un termine univoco per tutte le fattispecie, ma piuttosto correlando il divieto a termine che variano in corrispondenza del verificarsi di determinate situazioni:

In sostanza il blocco dei licenziamenti, per le aziende che ricorrono agli ammortizzatori sociali o all'esonero anzidetto, cessa una volta che detti strumenti sono esauriti (laddove il loro esaurimento dipende però da una serie di condizioni proprie e relative alle vicende di ciascuna impresa). in altri termini, quindi, lo sblocco del divieto viene condizionato e subordianato alla preventiva consumazione degli ammortizzatori o dell'esonero contributivo

Diversamente, qualora invece un'impresa non ritenga invece di voler o poter accedere agli ammortizzatori sociali previsti, per detta impresa il divieto di licenziamenti resterà in vigore e vincolante sino al 31 dicembre 2020.

Licenziamento individuale

Con riguardo ai licenziamenti individuali, il Decreto in esame preclude ai datori di lavoro di recedere dal rapporto per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell'articolo 3, L.604/66; ed inoltre sospende le attivate procedure di tentativo obbligatorio di conciliazione davanti alla ITL ex art.7 L.604/66 prodromiche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in corso al 17 marzo 2020.

Le aziende, sotto tale profilo, dovranno gestire in maniera appropriata il proprio personale, ed in particolare i dipendenti soggetti alla citata sospensione della procedura di conciliazione, in quanto una non perfetta gestione potrebbe complicare di molto l'esecuzione e la legittimità dei loro futuri licenziamenti. Infatti, per fare un esempio, nell'ipotesi in cui l'impresa, che non abbia "optato" per la sospensione in Cassa del dipendente, lo mantenga in servizio adibendolo a mansioni differenti da quelle precedenti - che erano venute meno, ragion per cui si era avviato la procedura ex art.7 L.604/66 -  tale adibizione potrebbe incidere negativamente sull'obbligo di ricollocazione interna del dipendente ante licenziamento (ossia sul c.d. obbligo di repechage) e quindi sulla futura licenziabilità stessa del lavoratore.  

Licenziamenti collettivi

Con riguardo alle procedure collettive, resta come detto precluso l'avvio delle procedure di riduzione del personale sinoalla completa fruizione dei trattamenti di integrazione salariale di cui all’art.1 del Decreto (ossia termine delle 18 settimane di CIG-Covid19); e per il medesimo periodo rimangono altresì sospese le procedure pendenti alla data del 23 febbraio 2020, eccenzion fatta per l'ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, venga riassunto a seguito del subingresso di nuovo appaltatore in forza di legge, o di CCNL, ovvero per effetto di apposita clausola del contratto di appalto.  

Alcune specifiche deroghe

Rimangono esclusi dall'ambito di applicazione del divieto i seguenti casi di recesso datoriale, con possibilità quindi per l'azienda di licenziare immediatamente:

La revoca del licenziamento

Da ultimo, va segnalato che il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, qualora nell’anno
2020, abbia licenziato per giustificato motivo oggettivo, può revocare il licenziamento stesso in ogni tempo (in deroga all'articolo 18, comma 10, St. lav.) purché faccia contestuale richiesta di trattamento di cassa integrazione salariale con decorrenza dalla data di efficacia del recesso datoriale in questione: il rapporto di lavoro, in questo caso, sarà ripristinato senza soluzione di continuità, ed in assenza di oneri e sanzioni per il datore di lavoro.

Licenziamenti che restano comunque attuabili anche in costanza dei divieti, seguendo determinati dettami.

  1. Ebbene, come si ricava a contrariis dal tenore letterale del divieto di cui all’art.46 del citato decreto, resta sempre possibile per il datore di lavoro effettuare, anche prima del 17 agosto 2020, un licenziamento per “giusta causa”, nonchè per  giustificato motivo soggettivo (licenziamento disciplinare ex art.7 St.Lav.): vale a dire, rispettivamente, per un “gravissimo” o per un “notevole” inadempimento contrattuale del lavoratore o per una sua condotta comunque tale da recidere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra datore e prestatore.
  2. Sebbene di natura non disciplinare, possono dirsi legittimi i licenziamenti per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, e quelli intimati per superamento del periodo di comporto in quanto categorie comunque distinte dal giustificato motivo oggettivo di cui all’art.3 L.604/66.
  3. Non rientrano nel divieto nemmeno i licenziamenti nell’ambito del rapporto di apprendistato, purchè sia stata espletata la formazione. Analogo discorso per la possibilità di risoluzione del rapporto per mancato superamento del periodo di prova.
  4. Un’altra categoria esclusa dal divieto sono i collaboratori domestici, in quanto assoggettati al regime del licenziamento ad nutum, ossia di libero recesso.
  5. Nessuna preclusione o restrizione vige in ordine ai rapporti di collaborazione coordinata, in quanto l’ambito applicativo della norma introdotta dal Decreto Legge riguarda esclusivamente i rapporti di lavoro di natura subordinata.
  6. Restano poi legittima per l’imprenditore la c.d. risoluzione consensuale del rapporto, attuabili - per ragioni di ottimale tutela Aziendale e per i possibili molteplici vantaggi ottenibili in fase negoziale - tramite una conciliazione in sede protetta con l’assistenza del giuslavorista specializzato.
  7. Altresì legittimo rimane il licenziamento individuale del dirigente (apicale, non “pseudo dirigente”); con la precisazione che, sotto il profilo dei licenziamenti collettivi, deve invece ritenersi vigente il divieto, in virtù del fatto che la L.223 del 1991 – richiamata nell'art.46 del decreto - si applica anche ai dirigenti. Sul piano del licenziamenti individuali, invece, è opportuno fare un distinguo: la giurisprudenza della Cassazione, infatti, ha più volte distinto due differenti tipologie di dirigente: per il dirigente apicale, che opera come alter ego del datore di lavoro, rimane senza ombra di dubbio la possibilità di licenziamento per c.d. “giustificatezza”, mentre per il dirigente non apicale, c.d. “pseudo-dirigente”, per ragioni di maggior cautela, è consigliabile ritenere operante il divieto in quanto, secondo consolidata giurisprudenza, allo stesso si applica il regime normativo della legge n. 604/1966 (Cass. n. 7295/2018, Cass. n. 20763/2012).
  8. Da ultimo, va segnalata la possibilità per il datore di lavoro di recedere dal rapporto con il dipendente che abbia raggiunto il limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia. Ciò in quanto la prosecuzione fino ai 70 anni discende da un accordo tra le parti e non è un diritto potestativo del dipendente, secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 17589 4 settembre 2015)

Le conseguenza delle violazioni del divieto.

Distinto ed ulteriore interrogativo delle Imprese è quello relativo a quali sarebbero le conseguenze cui si esporrebbe con una violazione del divieto di licenziamento individuale o collettivo; il che dipende in primis dal fatto che il licenziamento sia considerato dal Giudice del Lavoro come meramente illegittimo o invece nullo, con le diverse conseguenze giuridiche ed economiche per l’Azienda, e con una rilevanza o non rilevanza del fatto che il dipendente sia stato assunto prima oppure dopo il 7 marzo 2015 (c.d. tutele crescenti); si aggiungano poi le possibili e diverse conseguenze derivanti da eventuali questioni con l’INPS in tema di godimento Naspi, che si riflettono sull’Azienda sul piano di una maggior o minore facilità di conciliazione della vertenza.

Con riguardo al primo aspetto interpretativo, per ragioni di cautele e di maggior coerenza con l’ordinamento del Diritto del Lavoro, trattandosi di un licenziamento intimato in violazione di norma imperativa di legge, non può che discenderne la nullità dello stesso, e non una semplice inefficacia; e ciò con conseguenze ben più pesanti sul piano giuridico ed economico per l’Azienda che violasse la legge.

Con riguardo al secondo aspetto invece, l’INPS, con messaggio 2261 del 1° giugno 2020, ha chiarito che saranno accolte tutte le domande di NASPI inoltrate da lavoratori licenziati per le causali di cui all’art. 46 DL Cura Italia, e successive modifiche, durante il periodo di divieto, ma con riserva di ripetere le somme erogate qualora vi sia poi la reintegrazione nel posto di lavoro, a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale.

Come riorganizzazione, quindi, in maniera legale ed efficiente il proprio personale ?

Come abbiamo visto, nonostante i divieti e le regole imposte per il particolare momento storico, rimane lecito e giusto considerare le esigenze delle aziende che, proprio in virtù dei mutamenti economici, potrebbero avere la volontà e la necessità di "chiudere" determinati rapporti di lavoro.

In questo scenario, ho inteso dare risposte e nozioni essenziali sul teme dei licenziamenti in costanza di divieto (per Covid19), ma è chiaro che ogni situazione lavorativa ha le proprie peculiarità, ed ogni azienda ha esigenze ed una situazione del tutto uniche: da qui l'importanza di un consulenza altamente qualificata di un avvocato specializzato in Diritto del lavoro. Infatti, solo un'analisi approfondita e personalizzata consentirà di pianificare la strategia migliore per licenziare legalmente e organizzare al meglio la propria forza lavoro, scongiurando al contempo costosi contenziosi con i lavoratori.

Cassa Integrazione: i diritti del lavoratore pre e post-Covid

Il decreto “Cura Italia” (n.18 del 17 marzo 2020) in materia di Diritto del Lavoro, al fine di garantire sostegno al reddito dei lavoratori di imprese in difficoltà, ha stabilito semplificate modalità di accesso agli ammortizzatori sociali, quali Cassa Integrazione Ordinaria (CIGO), Cassa Integrazione in Deroga, ed assegno ordinario del Fondo di integrazione salariale (FIS), con la causale "emergenza COVID-19".

La disciplina della integrazione salariale

Storicamente, la Cassa Integrazione Guadagni (CIG) è quell’istituto nato con lo scopo di integrare, come dice il nome stesso, il reddito dei lavoratori al verificarsi di specifiche e particolari circostanze, che implicano una sospensione, di norma temporanea, del rapporto di lavoro che rimane in essere.

In altre parole, l’istituto consente al datore di lavoro, nelle ipotesi previste dalla legge, di rifiutare la prestazione lavorativa del dipendente dei lavoratori, essendo contestualmente sollevato a sua volta dall’obbligo retributive: si tratta cioè di una deroga alla regola generale, per il quale al lavoratore spetta sempre, anche laddove il datore rifiuti (ingiustificatamente) la sua prestazione, il diritto al pagamento della retribuzione. In caso di Cassa integrazione al lavoratore sospeso dal lavoro ha solo diritto, per l’appunto, una integrazione salariale corrisposta dall’INPS.

L’ordinamento giuridico italiano prevede tre forme di ammortizzatori sociali, quali strumenti di sostegno al reddito dei dipendenti sospesi dal lavoro:

Le integrazioni salariali possono essere concesse ai lavoratori subordinati, ma con importanti eccezioni, come i dirigenti, i lavoratori a domicilio, alcuni apprendisti ed i lavoratori somministrati. Il trattamento salariale è normalmente pari all’80% della retribuzione, e non può superare alcuni c.d. massimali che vengono determinati e rivalutati annualmente

L’integrazione salariale in emergenza per Covid-19

Come detto con il decreto Cura Italia, nel mese di marzo 2020, è stata previsto l’accesso faciliato per tutte le aziende, anche al di sotto dei 15 dipendenti occupati, per un periodo di 9 settimane, cui si è aggiunta la proroga per ulteriori 9 settimane, introdotta dal decreto Rilancio in vigore dal 19 maggio 2020, da fuirsi in maniera frazionata nel seguente modo: 5 settimane entro il 31 agosto, ed ulteriori 4 settimane fruibili per il periodo tra il 1° settembre e il 31 ottobre 2020. Infine, il Governo è intervenuto nuovamente, concedendo ai datori di lavoro che abbiano fruito del trattamento per l’intero periodo precedentemente concesso (fino alla durata massima di 14 settimane) di poter accedere immediatamente ad ulteriori 4 settimane anche per periodi decorrenti prima del 1° settembre 2020; ferma restando la durata massima cumulativa e totale di 18 settimane.

I diritti dei lavoratori cassa-integrati

La normativa nulla dice circa i criteri di scelta per la collocazione dei lavoratori in CIG, e pertanto la scelta dei dipendenti da sospendere (salvo diverso accordo sindacale) spetta all’imprenditore, ma essa non può essere totalmente discrezionale o lesiva dei diritti dei lavoratori.

La disciplina introdotta dal D.Lgs. 148/2015 stabilisce, infatti, l’obbligo di adottare criteri di scelta o di rotazione dei lavoratori soltanto per la Cassa Integrazione Straordinaria (che, secondo l’art. 24 comma 3, devono essere oggetto dell'esame congiunto con le organizzazioni sindacali): in questo caso il datore di lavoro ha l’obbligo di rispettare i criteri stabiliti nell’accordo a pena di condotta antisindacale, per violazione dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori (L.300 del 1970).

Tuttavia, nel quadro di queste agevolazioni emergenziali di accesso alla Cassa Integrazione, il legislatore ha previsto la possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali anche senza l'accordo sindacale (purché venga inviata la comunicazione preventiva alle organizzazioni ed a patto che sia compiuto l'esame congiunto anche in via telematica, senza necessità o obbligo di concluderlo con un verbale di accordo).

Pertanto si potrebbe ritenere che il datore di lavoro sia esonerato dall'obbligo di rispettare qualsiasi criterio di scelta nella rotazione dei lavoratori in Cassa Integrazione salariale, rimanendo totalmente libero di scegliere a sua discrezione quali lavoratori porre a zero ore e quali porre a riduzione oraria.

Al contrario, invece, l'applicazione degli ammortizzatori sociali, impattando negativamente sui diritti economici dei lavoratori, comporta sempre e comunque il rispetto per il datore di lavoro dei principi cardine del Diritto del Lavoro, determinati dalla Giurisprudenza, che da sempre pone dei limiti esterni ed interni alla libertà di iniziativa economica dell’Imprenditore, e quindi anche ai suoi poteri discrezionali e di scelta dei criteri di rotazione dei dipendenti.

Basti considerare sul punto la Sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione dell’ 11 maggio 2000 n. 302, secondo cui il potere discrezionale di scegliere e ruotare i lavoratori deve pur sempre essere esercitato in base a criteri oggettivi, razionali e coerenti con le finalità del trattamento di integrazione salariale, nonché nel rispetto del principio di non discriminazione, e degli obblighi di correttezza e buona fede. E ciò collima con il principio, sempre sanciato dalle Sezioni Unite, secondo cui la comunicazione preventiva dei criteri di scelta ha come seconda funzione essenziale quella di assicurare "la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell'impresa”.

Il principio è poi confermato dalla recente sentenza della Cassazione 18 gennaio 2019 n. 1378, secondo cui il potere di scelta dei lavoratori, oltre ad essere soggetto al divieto di discriminazione ed all'obbligo di correttezza e buona fede (c.d. limiti esterni), è soggetto anche ai cd. limiti interni, ed in particolare al rispetto del requisito della professionalità con riferimento alla competenza specifica dei lavoratori, legata all'inquadramento nella realtà aziendale, e non a livelli professionali scelti in maniera discrezionale a seconda del maggiore o minore rendimento del dipendente, in quanto, questi ultimi sono considerati criteri generici e soggettivi.

Conoscere i propri diritti per vederli rispettati

Lo scopo di questo articolo è dare a tutti i lavoratori la possibilità di comprendere e conoscere i propri diritti in materia di Cassa Integrazione e ammortizzatori sociali. Ovviamente, nel caso in cui la tua situazione dovesse differire dal contesto evidenziato, è fondamentale una consulenza professionale per identificare eventuali violazioni dei tuoi diritti e ricorrere ai giusti strumenti legali per vedere riconosciuto quanto previsto dalla legge.